Un manuale prodotto dall’ULSS 9 di Treviso si sofferma sulle caratteristiche di un idoneo documento di valutazione dei rischi e analizza il rapporto tra sicurezza e costi. Lavorando in sicurezza, si risparmia.
Treviso, 19 Ott – Se la gestione della sicurezza in azienda comporta sicuramente dei costi (corsi di formazione, adeguamento di impianti, aggiornamenti normativi, ...), spesso le imprese non hanno la consapevolezza anche dei costi economici legati alla non sicurezza. E gli infortuni e le malattie professionali hanno gravi ricadute non solo su chi si ammala e infortuna, ma anche sulla stessa produttività delle imprese e sulla ricchezza complessiva di un paese.
Proprio per approfondire questi aspetti in correlazione al tema della valutazione dei rischi, torniamo oggi a sfogliare il “ Manuale di autodifesa del datore di lavoro”, un documento elaborato dal Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza in Ambienti di Lavoro (SPISAL) dell’ Azienda ULSS 9 di Treviso.
E in particolare ci soffermiamo sul capitolo 1.3 “Burocrazia e valutazione dei rischi” di cui abbiamogià parlato in merito ad alcune decise affermazioni dello SPISAL suldocumento di valutazione deirischi correlate alle esperienze rilevate durante le attività di vigilanza:
Ne riprendiamo alcune:
- il documento diventa burocrazia quando lo si interpreta come “adempimento burocratico;
- il documento di valutazione dei rischi non “serve” allo SPISAL, ma deve servire al datore di lavoro per gestire la sicurezza;
- il documento deve “valere” la spesa sostenuta per la sua redazione.
Il manuale ricorda anche che la valutazione dei rischi “è un’attività continuativa, contestuale allosvolgimento del lavoro”.
Si ricorda, a questo proposito, che nel D.Lgs. 81/2008 (TU) si indica che qualsiasi modifica dell’attività produttiva deve essere preceduta dalla valutazione dei rischi. Se ciò può sembrare banale, “perché dovrebbe essere logico chiedersi se quello che si dovrà fare può essere pericoloso, purtroppo non sempre ciò succede e molti infortuni gravi avvengono per attività estemporanee di cui non sono stati valutati i rischi”.
L’art. 13 della Legge 30/10/2014 n. 161, recante “ Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013-bis”, ha poi modificato il TU. E l’attenzione dei commentatori “si è rivolta alla parte che prevede che ‘… Anche in caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro deve comunque dare immediata evidenza, attraverso idonea documentazione, dell’adempimento agli obblighi …’ in attesa di redigere il documento di valutazione dei rischi (DVR entro 90 giorni)”.
E tutti si sono subito preoccupati della ‘formalità’ della documentazione di questa attività e non della sostanza; in realtà, “l’attività di valutazione si dimostra spesso per il solo fatto di averla svolta, nel senso che il datore di lavoro avrà certamente provveduto a procurarsi ciò che è necessario per eseguirla (ad esempio documentazione tecnica delle attrezzature, schede di sicurezza degli agenti chimici, misure strumentali, istruzioni per i lavoratori e altro); la norma lascia ampia facoltà per quanto riguarda il mezzo di prova, anche senza fare ricorso a ‘autocertificazioni, timbri, bolli etc.’ …. Se si trova traccia della valutazione (soprattutto sul versante applicativo con le necessarie ricadute nell’ambiente di lavoro)non ha senso pretendere un adempimento formale temporaneo in attesa di quello definitivo (DVR)”...
Sempre riguardo poi alla valutazione, lo SPISAL sottolinea che “devono essere valutati tutti i rischi, anche soltanto per escluderne la presenza”.
E poiché devono essere valutati ‘tutti i rischi’, nel documento “devono essere presi in considerazione sistematicamente tutti i fattori di rischio, anche soltanto per escluderne la presenza. Ciò permette un approccio sistematico (come se fosse una check list) che spesso aiuta a non ‘dimenticare’ qualche aspetto pericoloso ma poco evidente”.
Un altro tema su cui si sofferma il capitolo riguarda la collaborazione del medico competente alla valutazione dei rischi.
Infatti la partecipazione alla valutazione dei rischi è “un obbligo per il medico e anche per il datore di lavoro che deve controllare la sua attività. Questa attività è parte fondamentale e non eludibile dell’incarico di medico competente che non può essere limitato soltanto alla sorveglianza sanitaria”.
E non bisogna dimenticare che per effettuare la valutazione dei rischi è “necessario il coinvolgimento del rappresentante dei lavoratori (RLS)”.
L’RLS deve essere “consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi e alla predisposizione delle misure di sicurezza; naturalmente il RLS non è autore della valutazione e non ne ha la responsabilità ma non è nemmeno un soggetto passivo, coinvolto soltanto alla fine della stesura del documento per firmarlo attestando ‘la data certa’”. E il rappresentante dei lavoratori può anche fornire in fase preliminare di valutazione “il punto di vista dei soggetti esposti ai rischi, che conoscono bene i problemi che possono derivarne, e quindi migliorare il processo stesso di valutazione”.
Veniamo infine al tema dei costi della sicurezza e della non sicurezza.
Lo SPISAL sottolinea che “la sicurezza non è un costo (se è fatta bene)”.
E che ci sono tre modi di intendere la questione:
- “tutto quello che si fa per sicurezza è un costo in più;
- le spese per la sicurezza sono un investimento ed evitano il rischio di gravi ripercussioni economiche in caso di infortunio o malattia professionale;
- qualche volta, lavorando in sicurezza, si risparmia”.
Se il primo modo di pensare “si commenta da sé”, lo SPISAL ricorda che , riguardo al secondo modo, ci sono “numerosi studi su costi diretti e indiretti degli infortuni” e cita la pubblicazione “Il costo dell’infortunio nell’impresa padovana - Stima economica della non sicurezza sul lavoro”, una pubblicazione prodotta da Confindustria di Padova in collaborazione con CURA (Consorzio Universitario di Ricerca Applicata).
Il terzo punto di vista “merita un po’ più di attenzione”.
Infatti non parte dal danno “ma dal vantaggio che la sicurezza offre; spesso, operando in condizioni di sicurezza, il lavoro è più agevole e spedito e ciò si traduce in un risparmio di tempo (… che è anche denaro)”. Inoltre “le attrezzature intrinsecamente sicure, l’ausiliazione meccanica della movimentazione dei carichi, l’automazione e altro possono ridurre il numero di lavoratori a rischio, l’esposizione al rischio o aumentare la produzione”. E dunque in questi casi “c’è un vantaggio economico diretto associato ad una maggiore sicurezza”.
Tuttavia perché ciò succeda ci deve essere una ricerca “intelligente” della soluzione migliore per l’azienda: “perché la sicurezza non sia una spesa inutile, bisogna investire in soluzioni efficaci, che forse richiedono un po’ di impegno iniziale per essere concepite, ma che poi rendono anche in termini economici”.
Il manuale indica poi che in alcuni casi all’imprenditore viene chiesto indicare i costi della sicurezza.
Se “da un lato ciò ha una giustificazione (a questi costi non si può rinunciare) dall’altro sostiene l’idea che il lavoro è una cosa e poi, a parte, c’è la sicurezza, come si trattasse di due aspetti completamente separati; in realtà succede che in cantiere l’opera provvisionale che viene addebitata alla sicurezza serve anche a fare ‘bene’ il proprio lavoro”.
Insomma - continua lo SPISAL - dovrebbe passare l’idea che “la buona tecnica per fare il lavoro è quella sicura”.
E in conclusione è bene ripetere ancora una volta il leitmotiv del capitolo: la sicurezza non è una spesa “inutile” e ha anche ricadute positive in termini economici se si evita di concepire la sicurezza solo come “burocrazia”, come “adempimento burocratico”.
FONTE ARTICOLO : http://www.puntosicuro.it/
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